IL TRIBUNALE DI TREVISO 
                           Sezione Penale 
                     in composizione monocratica 
 
    Nel procedimento penale a carico di BARBON FRANCO per il reato di
cui all'art. 10-ter in relazione all'art. 10-bis D.L.vo n. 74/2000 ha
emesso la seguente ordinanza: 
Premessa 
    Con decreto di giudizio  a  seguito  di  opposizione  al  decreto
penale di condanna, emesso in data 4/02/2014, il G.I.P. del Tribunale
di Treviso citava a giudizio  l'imputato  in  epigrafe  indicato  per
rispondere del reato di cui all'all'art. 10-ter in relazione all'art.
10-bis D.L.vo n. 74/2000, perche':  "...nella  sua  veste  di  legale
rappresentante della ditta "Barbon  Trasporti  s.r.l.",  non  versava
l'imposta sul valore  aggiunto  dovuta  in  base  alla  dichiarazione
annuale Modello Unico per l'anno d'imposta 2009 per un ammontare pari
ad € 128.889,00 entro  il  termine  per  il  versamento  dell'acconto
relativo al periodo d'imposta successivo". 
    In sede dibattimentale, all'udienza del  13/06/2014,  nella  fase
degli  atti  preliminari,  il   difensore   dell'imputato   sollevava
questione di legittimita' costituzionale (in relazione agli artt.  77
2° comma e/o 117 1°  comma  Cost.)  e  di  disapplicazione  dell'art.
10-ter D.L.vo n. 74/2000 per contrasto con l'art. 50 della Carta  dei
diritti fondamentali dell'Unione Europea, per i motivi illustrati  in
memoria. 
    Evidenziava, in sintesi, la difesa che: 
        1) La norma in questione, introdotta con l'art. 35 comma  VII
della  Legge  4/08/2006  (c.d.  decreto  Bersani-Visco),  mancava  di
qualsiasi indicazione circa i presupposti di  necessita'  ed  urgenza
legittimanti la decretazione ex art. 77 Cost., sostenendo che  "...la
Corte costituzionale ha affermato che l'esistenza dei requisiti della
straordinarieta' del caso di necessita'  e  di  urgenza  puo'  essere
oggetto di scrutinio di costituzionalita', negando efficacia  sanante
alla  legge  di  conversione  e   ricostruendo   il   difetto   della
straordinaria necessita' ed urgenza quale vizio  formale,  come  tale
trasmissibile alla legge parlamentare..."; 
        2) La norma in questione contrasta inoltre con l'art. 117  1°
comma Cost.  (vincoli  derivanti  dall'ordinamento  comunitario),  in
quanto l'art. 4 del protocollo n. 7 alla convenzione  intitolato  "ne
bis in idem", vieta che  si  possa  essere  perseguiti  o  condannati
penalmente dalla giurisdizione dello stesso stato  per  un'infrazione
per cui e' gia' stato  scagionato  o  condannato  a  seguito  di  una
sentenza definitiva conforme alla legge e alla  procedura  penale  di
tale Stato; sotto tale profilo, dunque, verrebbe violato il  suddetto
principio del "ne bis in idem" in quanto la sanzione (apparentemente)
amministrativa prevista dall'art. 13 D.lgs n.  471/1997  (che  pur  a
seguito  della  normativa  penale  introdotta,  punisce  la  medesima
omissione dei versamenti IVA con  sanzioni  pecuniarie,  non  essendo
stata abrogata) ha in realta' natura penale; 
        3) La norma contrasta inoltre con l'art. 50 della  Carta  dei
diritti  fondamentali  dell'Unione  Europea  la  quale  statuisce  il
"diritto di non essere giudicato o punito due  volte  per  lo  stesso
reato",  sostenendo  che  le  sanzioni  tributarie   previste   dalla
normativa italiana abbiano in realta'  carattere  penale,  secondo  i
criteri stabiliti dalla Corte di  Giustizia  Europea  (qualificazione
giuridica formale dell'illecito compiuta dal diritto interno,  natura
oggettiva dell'illecito, natura della sanzione prevista e  suo  grado
di severita', come delineati dalla giurisprudenza europea). 
    In merito alla sollevata  eccezione,  il  Pubblico  Ministero  si
rimetteva alla decisione del Giudice. 
La normativa oggetto del ricorso 
    A norma dell'art. 10-ter del D.Lgs n. 74 del 2000,  inserito  con
l'art. 35 comma VII del D.L. del 4 luglio del  2006,  convertito  con
modificazioni nella Legge 4 agosto del  2006,  la  sanzione  prevista
dall'art. 10-bis per il delitto  di  omesso  versamento  di  ritenute
certificate si applica anche  a  chiunque  non  versi  l'imposta  sul
valore aggiunto, dovuto in base alla dichiarazione annuale, entro  il
termine del versamento del  conto  relativo  al  periodo  di  imposta
successivo. L'omesso versamento dell'IVA e' anche sanzionato  in  via
amministrativa dal D.Lgs n. 471/97, art. 13 1° comma, che  assoggetta
ad una sanzione amministrativa  pari  al  30%  di  ogni  importo  non
versato chiunque non  esegue,  in  tutto  in  parte  alle  prescritte
scadenze periodiche, i versamenti dei debiti IVA. 
    Sotto il profilo normativo e giuridico, quindi le fattispecie  di
cui agli art. 10-bis e 10-ter D.Lgs  n.  74/2000  hanno  la  medesima
oggettivita' giuridica e rispondono ai medesimi  requisiti,  relativi
all'integrazione  della  fattispecie  di  reato  sotto   il   profilo
soggettivo ed oggettivo. 
    La Corte di Cassazione si e' gia' occupata, con una  pronuncia  a
Sezioni Unite, sulla questione sollevata in  questa  sede  in  ordine
alla  "sovrapposizione  sanzionatoria"  tra   normativa   penale   ed
amministrativa, relativamente  alla  fattispecie  di  reato  prevista
dall'art. 10-bis L. 74/2000 (come  detto  del  tutto  assimilabile  a
quella di cui all'art. 10-ter), statuendo che: "Il  reato  di  omesso
versamento di ritenute certificate (art.  10-bis  d.lgs.  n.  74  del
2000), che si consuma con il  mancato  versamento  per  un  ammontare
superiore  ad  euro  cinquantamila  delle  ritenute  complessivamente
risultanti dalla certificazione rilasciata  ai  sostituiti  entro  la
scadenza del termine finale per la presentazione della  dichiarazione
annuale, non si pone in rapporto di specialita'  ma  di  progressione
illecita con l'art. 13, comma primo, d.lgs.  n.  471  del  1997,  che
punisce con la sanzione amministrativa l'omesso versamento  periodico
delle ritenute alla data  delle  singole  scadenze  mensili,  con  la
conseguenza che al trasgressore devono essere applicate  entrambe  le
sanzioni." (1) 
    Con tale pronuncia, la Suprema Corte, ha sostenuto che:  "a)  con
l'introduzione dell'art. 10-bis nel d.lgs. 74  del  2000  non  si  e'
formalmente determinata la sostituzione di un regime sanzionatorio ad
un  altro,  ma  si  e'  aggiunta,  alla  generale  previsione   delle
fattispecie di illecito amministrativo di cui al comma 1 dell'art. 13
d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471  (rimasto  in  vigore),  comprendenti
l'omesso versamento, alle previste scadenze mensili,  delle  ritenute
alla fonte,  la  previsione  di  una  specifica  fattispecie  penale,
ruotante si' nell'ambito dello stesso fenomeno omissivo ma ancorata a
presupposti fattuali e temporali nuovi e  diversi.  In  questo  caso,
quindi,  non  si  pone  un   problema   di   successione   di   norme
sanzionatorie, bensi' una questione di eventuale  concorso  apparente
di norme  (penale  ed  amministrativa),  ed  e'  una  questione  che,
evidentemente, non riguarda  solo  l'anno  2004  ma  anche  gli  anni
successivi;  b)  detto  concorso  e'  regolato   dal   principio   di
specialita', quale previsto in generale nell'art. 9, comma  1,  legge
24 novembre 1981, n. 689 (cfr.  Sez.  6,  n.  11395  del  01/10/1993,
Bellone, Rv; 196065) - secondo il quale «Quando uno stesso  fatto  e'
punito da una disposizione penale e da una disposizione  che  prevede
una sanzione amministrativa, ovvero da una pluralita' di disposizioni
che prevedono sanzioni amministrative,  si  applica  la  disposizione
speciale» -, e che trova  specifica  espressione,  nella  materia  in
esame, nell'art. 19, comma 1, d.lgs. 74 del 2000,  secondo  il  quale
«Quando uno stesso fatto e' punito  da  una  delle  disposizioni  del
titolo II [precisamente dedicato ai "delitti"] e da una  disposizione
che prevede una sanzione amministrativa, si applica  la  disposizione
speciale». c) per stabilire se nel caso in esame si e' in presenza di
un concorso apparente o effettivo di norme,  si  tratta,  dunque,  di
verificare se le norme sanzionatorie in questione riguardino  o  meno
lo "stesso fatto"." 
    La Suprema Corte, a quest'ultimo quesito, fornisce  una  risposta
negativa con questi  ragionamenti:  "...  Entrambi  gli  illeciti  in
esame, invero, sono illeciti  omissivi  propri,  integrati  dal  mero
mancato al compimento di un'azione dovuta. Gli  elementi  costitutivi
dell'illecito omissivo (di mera condotta)  sono:  a)  i  presupposti,
cioe' la situazione tipica da cui sorge l'obbligo  di  agire;  b)  la
condotta omissiva (non facere quod debetur); c) il termine, esplicito
o implicito, alla cui scadenza  l'inadempimento  dell'obbligo  assume
rilevanza e si consuma l'illecito.  Nell'illecito  amministrativo  di
cui al comma 1 dell'art. 13 d.lgs.  18  dicembre  1997,  n.  471,  il
presupposto e'  costituito  dalla  erogazione  di  somme  comportanti
l'obbligo di effettuazione della ritenuta alla fonte  (artt.  23  ss.
d.P.R. n. 600 del 1973) e di versamento della stessa  all'Erario  con
le modalita' stabilite (art. 3 d.P.R. n. 602 del 1973),  la  condotta
omissiva si concretizza nel mancato versamento della ritenuta mensile
e il termine per l'adempimento e' fissato  al  giorno  quindici  (poi
passato al sedici) del mese  successivo  a  quello  di  effettuazione
della ritenuta (art. 8 d.P.R. n. 602 del 1973). Nell'illecito  penale
di cui all'art. 10-bis d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, il presupposto e'
costituito sia dalla erogazione di  somme  comportanti  l'obbligo  di
effettuazione delle ritenute alla fonte (artt. 23 ss. d.P.R.  n.  600
del 1973) e di versamento delle stesse all'Erario  con  le  modalita'
stabilite (art. 3 d.P.R. n.  602  del  1973),  sia  dal  rilascio  al
soggetto sostituito  di  una  certificazione  attestante  l'ammontare
complessivo  delle  somme  corrisposte  e  delle   ritenute   operate
nell'anno precedente (v. art. 4, commi 6-ter e  6-quater,  d.P.R.  22
luglio 1998, n. 322); la condotta omissiva si concretizza nel mancato
versamento, per un ammontare superiore a  Euro  cinquantamila,  delle
ritenute complessivamente operate nell'anno di imposta  e  risultanti
dalla  certificazione  rilasciata  ai  sostituiti;  il  termine   per
l'adempimento e'  individuato  in  quello  previsto  (in  riferimento
all'epoca dei fatti,  30  settembre  ovvero  31  ottobre,  a  seconda
dell'utilizzo del Modello 770 semplificato o - come avvenuto nel caso
di specie - del Modello 770 ordinario: art. 4 d.P.R. n. 332 del 1998)
per la presentazione della  dichiarazione  annuale  di  sostituto  di
imposta relativa all'anno precedente...". 
    La Cassazione, pertanto,  pur  riconoscendo  che  le  fattispecie
"convergono" sia  in  parte  dei  presupposti  (erogazione  di  somme
comportanti l'obbligo di effettuazione delle ritenute alla fonte e di
versamento delle stesse all'Erario con le  modalita'  stabilite)  che
soprattutto nella condotta (omissione di uno o  piu'  dei  versamenti
mensili dovuti), afferma sostanzialmente che gli elementi costitutivi
dei  due  illeciti  divergono  in   alcune   componenti   essenziali,
costituite: 1) dal requisito della "certificazione"  delle  ritenute,
richiesto per  il  solo  illecito  penale;  2)  dalla  soglia  minima
dell'omissione, richiesta per il solo illecito penale; 3) dal termine
di riferimento per l'assunzione di rilevanza dell'omissione, fissato,
per l'illecito amministrativo, al giorno  quindici  (poi  passato  al
sedici) del mese successivo a quello di effettuazione delle ritenute,
e coincidente, per l'illecito penale,  con  quello  previsto  per  la
presentazione (entro le date del 30 settembre ovvero del 31  ottobre)
della dichiarazione annuale  di  sostituto  di  imposta  relativa  al
precedente periodo d'imposta. 
    La Suprema Corte ricostruisce, pertanto, il rapporto  fra  i  due
illeciti  in  termini,  non   di   specialita',   ma   piuttosto   di
"progressione":  la  fattispecie  penale  -  secondo  l'indirizzo  di
politica criminale adottato in generale dal d.lgs. 74  del  2000  (su
cui v. in particolare Corte cost. sent. n. 49 del 2002) - costituisce
in sostanza una violazione molto piu' grave di quella  amministrativa
e, pur contenendo  necessariamente  quest'ultima  (senza  almeno  una
violazione  del  termine  mensile  non   si   possono   evidentemente
determinare i presupposti del  reato),  la  arricchisce  di  elementi
essenziali (certificazione, soglia, termine allungato) che  non  sono
complessivamente riconducibili al paradigma della  specialita'  (che,
ove  operante,  comporterebbe  ovviamente  l'applicazione  del   solo
illecito penale), in quanto recano decisivi segmenti  comportamentali
che si collocano temporalmente in un momento successivo al compimento
dell'illecito amministrativo. 
    Le Sezioni Unite concludono, quindi, nel senso  che  la  presenza
della previsione dell'illecito  amministrativo  di  cui  al  comma  1
dell'art. 13 d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, e  la  consumazione  in
concreto  di  esso,  non  sono  di  ostacolo   all'applicazione,   in
riferimento allo stesso periodo d'imposta e nella ricorrenza di tutti
gli specifici presupposti, della  statuizione  relativa  all'illecito
penale di cui all'art. 10-bis d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74. 
    La circostanza che in tal modo un fatto  integrante  uno  o  piu'
illeciti minori (omissione di uno o piu' versamenti di  ritenute  nel
termine mensile per un ammontare complessivamente  superiore  a  Euro
cinquantamila)  assurga,   in   punto   di   fatto,   a   presupposto
dell'illecito maggiore, richiedente a sua volta ulteriori requisiti e
caratterizzato da un diverso tempo di  realizzazione,  argomentano  i
Giudici della  Suprema  Corte,  non  appare  motivo  sufficiente  per
escludere la  concorrente  applicazione  di  entrambi  gli  illeciti;
secondo la Corte: "...la  conclusione  cosi'  assunta  in  ordine  al
rapporto  sussistente,  in  via  generale,  fra  le  disposizioni  in
discorso non si pone in contrasto ne con l'art. 4 del Protocollo n. 7
della CEDU; ne con l'art. 50 della  Carta  dei  diritti  fondamentali
dell'Unione europea, che sanciscono il principio del ne bis  in  idem
in materia penale. Anzitutto, invero, nella specie, come si e' visto,
non si puo' parlare di identita' del fatto; in  ogni  caso,  poi,  il
principio suddetto si riferisce solo ai  procedimenti  penali  e  non
puo', quindi, riguardare  l'ipotesi  dell'applicazione  congiunta  di
sanzione penale e sanzione amministrativa tributaria (in  tal  senso,
espressamente, Corte di giustizia UE., 26/02/2013, Aklagaren c.  Hans
Akerberg Fransson)". 
    Tali principi sono stati  ribaditi  in  una  ulteriore  pronuncia
della  Cassazione  piu'  recente  (Sez.  3,  Sentenza  n.  20266  del
08/04/2014), ove si afferma che: "...Non va trascurato che la  stessa
Corte di Giustizia UE era in recente passato intervenuta  a  chiarire
la portata del principio del ne  bis  in  idem  di  cui  all'art.  4,
protocollo n. 7 della Cedu e 50 della Carta dei diritti  fondamentali
dell'Unione Europea quando applicato a  procedimenti  penali  con  il
responso "Frasson" C-617-10 del 26 febbraio 2013. E' stato  affermato
in  tale  occasione  che  l'azione  penale  nei   confronti   di   un
contribuente accusato di  frode  finanziaria  aggravata  puo'  essere
accompagnata anche da sanzioni fiscali. 
    E' possibile, infatti, per la Corte di Strasburgo,  in  linea  di
principio, che esistano  sovrattasse  e  sanzioni  penali  se  queste
afferiscono a fattispecie  di  diritto  diverse.  Gli  Stati  membri,
dunque,  possono  legittimamente  ritenere  che  un   cittadino   sia
assoggettabile, per lo stesso caso, a sanzioni fiscali e penali,  con
l'unico limite (ai fini della rivalutazione  della  eventuale  natura
penale  delle  sanzioni  tributarie):  a)  di  dover  considerare  la
qualificazione giuridica dell'illecito nel diritto nazionale;  b)  di
dover valutare la natura dell'illecito e il grado di severita'  della
sanzione. Le sanzioni tributarie, nel caso de quo - a  differenza  di
quanto ritenuto dalla Corte di Strasburgo per quelle ben piu'  severe
irrogate dalla CONSOB nell'invocato caso Grande Stevens c.  Italia  -
reggono a tale vaglio. Cio',  coerentemente  con  il  recente  dictum
delle Sezioni Unite di questa Suprema Corte con cui si  e'  precisato
che il reato di omesso versamento di ritenute certificate di  cui  al
d.lgs. n. 74 del 2000, art. 10-bis, che si  consuma  con  il  mancato
versamento per un ammontare superiore  ad  Euro  cinquantamila  delle
ritenute complessivamente risultanti dalla certificazione  rilasciata
ai  sostituiti  entro  la  scadenza  del  termine   finale   per   la
presentazione della dichiarazione annuale, non si pone in rapporto di
specialita' ma di progressione illecita con  il  d.lgs.  n.  471  del
1997, art. 13, comma 1, che punisce con  la  sanzione  amministrativa
l'omesso versamento periodico delle ritenute alla data delle  singole
scadenze mensili, con  la  conseguenza  che  al  trasgressore  devono
essere applicate entrambe  le  sanzioni  (Sez.  Unite  n.  37425  del
28.3.2013, Favellato, rv. 255759). Va peraltro rilevato che il nostro
ordinamento nazionale, al d.lgs. n. 74 del 2000, artt. 19, 20  e  21,
disciplina in maniera chiara i rapporti tra il sistema  sanzionatorio
amministrativo e tra i procedimenti penale e tributario. La  medesima
normativa prende  espressamente  in  considerazione  i  rapporti  tra
pagamento  del  debito  tributario  e  reato  di  natura   tributaria
prevedendo all'art. 13, la speciale circostanza attenuante per cui le
pene previste per i delitti ivi contemplati sono diminuite fino  alla
meta', e non si applicano le pene accessorie  indicate  nell'art.  12
se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento  di  primo
grado, i debiti tributari relativi ai fatti costitutivi  dei  delitti
medesimi sono stati estinti mediante pagamento, anche a seguito delle
speciali  procedure  conciliative  o  di  adesione   all'accertamento
previste dalle norme tributarie. La norma precisa, al secondo  comma,
che a tale fine, il  pagamento  deve  riguardare  anche  le  sanzioni
amministrative previste per la  violazione  delle  norme  tributarie,
sebbene non applicabili all'imputato a norma dell'art. 19, comma 1, e
al terzo che della diminuzione di pena prevista dal comma  1  non  si
tiene conto ai fini della sostituzione della pena detentiva  inflitta
con la pena pecuniaria a norma della L. 24  novembre  1981,  n.  689,
art.  53.  Si  tratta  dell'unico  beneficio,  ancorato  ad  un  dato
temporale ben delimitato (prima della dichiarazione di  apertura  del
dibattimento di primo grado), che puo' determinare in sede penale  il
pagamento  del  debito   tributario,   ivi   comprese   le   sanzioni
amministrative. 3. Cio' premesso, ritiene il Collegio che sia fondata
la violazione di legge, con riferimento al d.lgs.  n.  74  del  2000,
art. 10-bis, lamentata dal PG ricorrente. Con l'entrata in vigore del
d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 - come si ricordera' - venne abolita ogni
sanzione  penale  per  l'omesso  versamento  delle   ritenute,   come
pacificamente riconosciuto dalla giurisprudenza dell'epoca  (sez.  3,
n. 3714 del 21.11.2000, Piacente, rv. 218183; sez. 3,  n.  39178  del
5.10.2001, Romagnoli, rv. 220360). Con la L.  30  dicembre  2004,  n.
311,  art.  1,  comma  414,  (Legge  finanziaria  per  l'anno  2005),
tuttavia, il legislatore inseri' nell'impianto normativo  del  d.lgs.
10 marzo 2000, n. 74 (contenente la disciplina dei reati  in  materia
di  imposte  dirette  ed  IVA),  l'art.  10-bis  dal  titolo  "Omesso
versamento di ritenute certificate", che cosi' recita: "1. E'  punito
con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa entro  il
termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale  di
sostituto  di  imposta  ritenute  risultanti   dalla   certificazione
rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore a  cinquantamila
Euro per ciascun periodo di  imposta".  Con  l'introduzione  di  tale
norma, dunque, venne ripristinata una sanzione penale in relazione al
mancato versamento delle ritenute entro il termine  previsto  per  la
presentazione della dichiarazione annuale,  purche'  fosse  raggiunta
una certa soglia  di  omissione  (Euro  50.000)  e  si  trattasse  di
ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti. La
giurisprudenza di questa Corte Suprema ha  piu'  volte  affermato  il
principio, poi ribadito dalla Sezioni Unite, che, mentre molte  delle
condotte penalmente sanzionate dal  d.lgs.  10  marzo  2000,  n.  74,
richiedono che il comportamento  illecito  sia  dettato  dallo  scopo
specifico di evadere le imposte,  questa  specifica  direzione  della
volonta' illecita non emerge in alcun modo dal testo del d.lgs. n. 74
del 2000, art. 10-bis, che  pertanto  e'  punito  a  titolo  di  dolo
generico (cosi',  in  ultimo,  Sei  Unite  n.  37425  del  28.3.2013,
Favellato, rv. 255759). Per la commissione del reato, basta, in altri
termini, la  coscienza  e  volonta'  di  non  versare  all'Erario  le
ritenute effettuate nel periodo considerato, con la precisazione  che
tale  coscienza  e  volonta'  deve  investire  anche  la  soglia  dei
cinquantamila  Euro,  che  e'  un  elemento  costitutivo  del  fatto,
contribuendo a definirne il disvalore. La prova del dolo  e'  insita,
in   genere,   nella   duplice   circostanza   del   rilascio   della
certificazione   al   sostituito   e   della   presentazione    della
dichiarazione annuale  del  sostituto  (Mod.  770),  che  riporta  le
trattenute  effettuate,  la  loro  data  ed  ammontare,   nonche'   i
versamenti relativi. Il debito verso il fisco relativo al  versamento
delle  ritenute  e'  collegato  con  quello  della  erogazione  degli
emolumenti ai collaboratori. Ogni qualvolta  il  sostituto  d'imposta
effettua tali erogazioni, deriva, quindi, a suo carico  l'obbligo  di
accantonare le  somme  dovute  all'Erario,  organizzando  le  risorse
disponibili in modo da poter adempiere  all'obbligazione  tributaria.
Nella  sentenza  delle  SS.UU.  Favellato  si   ricorda   anche   che
l'introduzione della norma di cui al d.lgs.  n.  74  del  2000,  art.
10-bis, stabilendo nuove condizioni e un nuovo termine per la propria
applicazione, ha  esteso  l'esigenza  di  organizzazione  dei  propri
pagamenti all'Erario  da  parte  del  sostituto  d'imposta  su  scala
annuale. Non puo', dunque - secondo  l'interpretazione  delle  SS.UU.
che e' condivisa da questo Collegio - essere invocata, per  escludere
la colpevolezza, la  crisi  di  liquidita'  del  soggetto  attivo  al
momento della scadenza del termine lungo, ove non si dimostri che  la
stessa non dipenda  dalla  scelta  (protrattasi,  in  sede  di  prima
applicazione della norma, fino al 2005) di non far debitamente fronte
alla esigenza predetta." (2) 
 
                       Motivi della decisione 
 
    Proprio da questi ultimi ragionamenti sembra necessario  muoversi
per  ulteriori  considerazioni  in  relazione   alla   questione   di
legittimita' costituzionale sollevata in questa sede. 
    Tutte le pronunce della Suprema Corte in merito al principio  del
c.d. "ne bis in idem" convergono sul concetto per cui il  divieto  di
un secondo giudizio (e quindi di  una  seconda  "sanzione")  sussiste
quando vi sia "identita' del fatto": 
        1) "... Ai fini della preclusione connessa al  principio  "ne
bis  in  idem",  l'identita'  del  fatto  sussiste  quando   vi   sia
corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del  reato,
considerato in tutti i suoi elementi costitutivi  (condotta,  evento,
nesso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di  luogo  e
di persona..." (3) ; 
        2) "... Per medesimo fatto,  ai  fini  dell'applicazione  del
principio del "ne bis in idem" di cui all'art. 649 cod.  proc.  pen.,
deve intendersi identita' degli elementi  costitutivi  del  reato,  e
cioe' di condotta, evento e nesso causale, considerati non solo nella
loro dimensione storico-naturalistica ma anche in  quella  giuridica,
potendo  una  medesima  condotta  violare   contemporaneamente   piu'
disposizioni di legge..." (4) ; 
        3) "... Poiche' all'unicita' di un determinato fatto  storico
puo' far riscontro  una  pluralita'  di  eventi  giuridici  (come  si
verifica nell'ipotesi di concorso formale  di  reati),  il  giudicato
formatosi  con  riguardo  ad  uno  di  tali  eventi   non   impedisce
l'esercizio dell'azione penale  in  relazione  ad  un  altro  (inteso
sempre in senso giuridico) pur scaturito da  un'unica  condotta  ..."
(5) . 
    Il principio del "ne bis in idem", dunque, si muove sul  binomio:
"medesimo fatto storico (identita' del fatto) -  diverso  reato";  e'
evidente che, per quanto  interessa  in  questa  sede,  per  "diverso
reato" non potra' intendersi semplicemente "diversa  disposizione  di
legge", ma deve farsi riferimento  ai  diversi  elementi  costitutivi
delle  fattispecie  (condotta,  evento,  elemento  soggettivo,   bene
giuridico protetto dalla norma); si  giustifica  cosi',  ad  esempio,
che: "...In applicazione di tale principio, la Corte ha rigettato  il
ricorso con il quale l'imputato, quale agente di  cambio,  era  stato
gia' condannato per il reato di bancarotta fraudolenta -  consistita,
fra l'altro, nella sottrazione di titoli e denaro della clientela - e
poi  sottoposto  a  nuovo  procedimento  penale  per  il   reato   di
appropriazione indebita in danno di un cliente..." (6)  ;  in  questo
caso,  come  e'  evidente,  ad  identita'  di  condotta  ed  elemento
soggettivo, facevano riscontro un diverso evento ed un  diverso  bene
giuridico protetto dalla norma. 
    Nel caso che interessa in questa sede, tuttavia, vanno  presi  in
considerazione anche i principi stabiliti in materia di  "ne  bis  in
idem" anche dalla Corte di Giustizia  Europea  che,  come  visto,  ha
affermato in piu' occasioni che: "... a) ai  fini  della  valutazione
della natura penale delle sanzioni  tributarie,  sono  rilevanti  tre
criteri:  la  qualificazione  giuridica  dell'illecito  nel   diritto
nazionale, la natura dell'illecito e, infine, la natura e il grado di
severita' della sanzione; b) spetta al giudice nazionale "verificare"
la  natura  penale  o  meno  della   sanzione   e   conseguentemente,
"valutare", alla luce dei criteri di cui sopra, se occorra  procedere
ad un esame del cumulo di sanzioni tributarie e penali previsto dalla
legislazione nazionale sotto il  profilo  degli  standard  nazionali,
circostanza che potrebbe eventualmente  indurlo  a  considerare  tale
cumulo contrario a detti standard,  a  condizione  che  le  rimanenti
sanzioni siano effettive, proporzionate e dissuasive...". 
    La pronuncia sopra richiamata della Cassazione  a  Sezioni  Unite
(che come detto, riguardava l'analogo reato di  cui  all'art.  10-bis
D.L.vo n. 74/2000, ma gli  elementi  costituitivi  della  fattispecie
sono i medesimi del successivo art. 10-ter in esame in questa  sede),
ammetteva  il  concorso  tra  sanzioni  amministrative  e  penali   -
"ignorando" il principio di specialita' - sulla base del ragionamento
per cui il rapporto tra i due illeciti non e' di specialita', "... ma
piuttosto  di  "progressione":  la  fattispecie  penale   -   secondo
l'indirizzo di politica criminale adottato in generale dal d.lgs.  74
del 2000 (su cui v. in particolare Corte cost., sent. n. 49 del 2002)
- costituisce in sostanza una violazione molto piu' grave  di  quella
amministrativa e, pur contenendo necessariamente quest'ultima  (senza
almeno  una  violazione  del   termine   mensile   non   si   possono
evidentemente determinare i presupposti del reato), la arricchisce di
elementi essenziali (certificazione, soglia, termine  allungato)  che
non  sono   complessivamente   riconducibili   al   paradigma   della
specialita'   (che,   ove    operante,    comporterebbe    ovviamente
l'applicazione del solo illecito penale), in quanto  recano  decisivi
segmenti comportamentali che si collocano temporalmente in un momento
successivo al compimento dell'illecito amministrativo...". 
    A ben  vedere,  tuttavia,  tale  ragionamento  ignora  del  tutto
proprio il "fatto storico" connesso alla  commissione  dell'illecito,
sia sotto il profilo oggettivo che sotto il  profilo  soggettivo:  il
soggetto agente che  omette  consapevolmente  di  volta  in  volta  i
versamenti fiscali mensili (nel caso di specie i tributi IVA) integra
gia' - con la medesima condotta - sia l'illecito amministrativo,  sia
un "frazione" di quello penale; una volta raggiunta la  c.d.  "soglia
di punibilita'" per l'integrazione della fattispecie penale,  non  si
pone  in  un  diverso  rapporto  di  consapevolezza  con   l'illecito
commesso, in quanto non  ha  fatto  altro  che  porre  in  essere  le
medesime condotte che hanno gia'  integrato  una  serie  di  illeciti
amministrativi e a quel punto integrano anche l'illecito  penale;  la
"diversita'" del fatto, a quel punto, andrebbe riconosciuta solo  ove
si verificasse un  "quid  pluris"  necessario,  a  parere  di  questo
Giudice, per configurare la natura dell'illecito; e tale quid  pluris
non puo' che essere costituito dall'elemento  soggettivo  del  reato,
che nel caso di specie non potra' essere  piu'  identificato  con  il
mero dolo generico della consapevolezza dell'omissione (e delle varie
omissioni periodiche), ma dovra' essere costituito dal dolo specifico
dell'evasione delle imposte, sulla quale e' incentrata tutta la ratio
della Legge n. 74/2000 (ad eccezione proprio  degli  artt.  10-bis  e
10-ter, secondo la prevalente interpretazione della Suprema Corte)  e
che costituisce davvero l'unico elemento distintivo fra  un  illecito
penalmente rilevante ed un illecito amministrativo. 
    In altre parole, per poter distinguere - secondo i dettami  sopra
riportati statuiti dalla Corte di Giustizia Europea  -  tra  illecito
penale ed illecito tributario ed "evitare" la doppia sanzione per  la
medesima condotta (cioe' per il  medesimo  fatto)  e'  necessario,  a
parere di questo Giudice, che venga individuato in tale  condotta  un
elemento costitutivo "tipico" della sanzione penale, cioe' appunto il
dolo, che  nel  caso  di  specie  tuttavia  non  potra'  piu'  essere
costituito dalla  mera  consapevolezza  delle  intervenute  omissioni
contributive (peraltro il piu'  delle  volte,  nella  realta'  ed  in
concreto,  caratterizzate  da  oggettiva   mancanza   di   liquidita'
dell'obbligato),  ma  dovra'  essere   costituito   dalla   specifica
intenzione, consapevolezza e volonta'  di  evadere  l'imposta  dovuta
(appunto, dolo specifico);  solo  tale  elemento,  di  fatto,  appare
distinguere la sanzione tributaria da quella penale, sotto il profilo
del "ne bis in idem" richiesto dai principi stabiliti dalla Corte  di
Giustizia Europea. 
    Poiche' tuttavia, come detto, la prevalente giurisprudenza  della
Suprema Corte individua tuttora negli  illeciti  di  cui  agli  artt.
10-bis e 10-ter D.L.vo n. 74/2000 fattispecie "a dolo generico" e non
tiene invece in considerazione il fatto che  tutto  l'impianto  della
normativa (per cio' che  concerne  le  sanzioni  penali)  e'  proprio
incentrato sul "fine di evadere le  imposte"  (richiesto  ad  esempio
dagli artt. 2-3-4-5-8-10 ed 11,  cioe'  in  pratica  tutte  le  altre
fattispecie penali) e non tiene nemmeno in  considerazione  il  fatto
che le norme di cui agli artt. 10-bis e 10-ter sono state  introdotte
successivamente, senza l'esplicita  previsione  del  dolo  specifico,
facendo si' che, come illustrato piu' sopra e per i motivi  suddetti,
non si vengono in alcun modo a distinguere dagli illeciti  di  natura
tributaria previsti per le medesime violazioni e condotte,  ecco  che
tali norme appaiono confliggere  con  i  principi  costituzionali  e,
nello specifico, con il divieto del "ne bis in idem"  statuito  dagli
artt. 4 protocollo n. 7 CEDU e 50 CDFUE e, di conseguenza, con l'art.
117 1° comma della Costituzione. 
    Per tali motivi deve ritenersi non  manifestamente  infondata  la
questione di illegittimita' costituzionale sollevata in  questa  sede
dalla difesa di Barbon Franco in relazione all'art. 10-ter D.L.vo  n.
74/2000 per violazione dell'art. 117 1° comma Cost. 

(1) (Sez. U, Sentenza n.  37425  del  28  marzo  2013  Ud.  (dep.  12
    settembre 2013) Rv. 255759. 

(2) (Sez. 3, Sentenza n. 20266 dell'8 aprile 2014 Ud. (dep. 15 maggio
    2014) Rv. 259190. 

(3) Sez. U, Sentenza n.  34655  del  28  giugno  2005  Cc.  (dep.  28
    settembre 2005) Rv. 231799 

(4) Sez. 6, Sentenza n. 459 dell'8 novembre 1996 Ud. (dep. 24 gennaio
    1997) Rv. 207729 

(5) Sez. 2, Sentenza n. 10472 del 4 marzo 1997 Ud. (dep. 19  novembre
    1997) Rv. 209022 

(6) Sez. 2, Sentenza n. 10472 del 4 marzo 1997 Ud. (dep. 19  novembre
    1997) Rv. 209022